domenica 29 novembre 2009

Atei, Questi Sconosciuti

Elena Scaltriti

“Maybe it’s too late for intellectual debate, but a residue of confusion remains.” Così esordisce Greg Graffin in “Atheist peace”, una delle più celebri canzoni dei Bad Religion, band americana che suona punk rock da un buon trentennio (caldamente consigliati). Nonostante il titolo possa trarre in inganno, il testo della canzone rende perfettamente quell’alone di mistero misto a timore che circonda la figura dell’ateo, soprattutto in Italia.

Mangiano i bambini? Sono libertini? Hanno levato le ancore dal porto sicuro della moralità per far rotta verso un futuro ancor più dissoluto e privo di punti di riferimento? Questi sono solo alcuni degli interrogativi che circolano attorno agli atei, i quali non fanno molto per chiarire la situazione agli occhi del credente medio, ormai convinto che sia più facile vincere al superenalotto che trovare un ateo in carne e ossa sul posto di lavoro. In realtà, ciò che rimane sconosciuto ai più è che gli atei non sono affatto una specie in via d’estinzione sul suolo italiano. Secondo i dati riportati dall’UAAR (Unione degli Atei Agnostici e Razionalisti), si è passati dal 5,2% del 1987 al 18% del 2003 sull’intera popolazione e il fenomeno non manifesta segni di arresto. Siamo quindi pienamente legittimati a chiederci quali siano le caratteristiche tipiche e le motivazioni del giovane ateo italiano.

Croce e delizia del Belpaese, la famiglia gioca un ruolo di punta nel processo di socializzazione religiosa fin dall’infanzia. Si tratta di una sorta di “legge di inerzia” che porta l’orientamento religioso della famiglia d’origine ad auto-riprodursi nelle generazioni successive. È facile intuire, quindi, come i giovani atei nascano e crescano solitamente in nuclei familiari in cui almeno uno dei genitori si attesta su posizioni di ateismo e altrettanto ragionevole è la connessione con situazioni segnate da separazioni, divorzi e matrimoni civili. Inoltre, ricerche di carattere sociologico condotte da professori dell’università Cattolica di Milano hanno rilevato che gli atei sono presenti soprattutto nel Nord-Ovest e nel Centro e tendono ad avere titoli di studio più alti, tanto tra gli intervistati quanto tra i loro genitori. A questo si unisce una maggiore partecipazione in associazioni e partiti, con un’estremizzata auto-collocazione politica a sinistra e la diffusione di un’immagine più ampia della politica, percepita non soltanto come “tutela dei propri interessi”, ma anche come “dovere di ogni cittadino”.

Eppure qualcosa non torna. Il 18% di 60 milioni di abitanti equivale a quasi 10 milioni di italiani. Chiunque storcerebbe il naso di fronte a queste cifre: dove sono tutti questi atei? Formerebbero un più che nutrito esercito in seno alla nazione che ospita la sede della chiesa cattolica e avrebbero i numeri per far valere le loro posizioni. Invece latitano (che siano rinchiusi nelle segrete del Vaticano?). Si perdono nella “atheist peace” di cui parla Graffin e si convincono, con rassegnazione, che non valga la pena far sentire la propria voce, animati dall’italianissimo “tanto non cambierebbe nulla”. L’ateo fatica a giocare a carte scoperte e, quando trova il coraggio di farlo, le occhiate si dividono tra quelle colme di pietà e quelle in cui guizza il germe del sospetto. Parlerei di “omertà dell’ateismo” in Italia, un sapere e non sapere allo stesso tempo, un “so che sei ateo, ma non ti preoccupare: non lo dirò a nessuno”.

Anche per combattere questo torpore, è nata l’Unione degli Atei Agnostici e Razionalisti (UAAR), l’unica associazione nazionale con lo scopo di rappresentare i cittadini atei e agnostici italiani. Diverse le personalità che vi hanno aderito, da Margherita Hack a Danilo Mainardi, fino a Piergiorgio Odifreddi e altrettanto varie le iniziative organizzate, come la campagna degli autobus “atei”, il progetto per l’ora alternativa a quella di religione nelle scuole e lo sbattezzo.

Parlando da atea che frequenta un’università cattolica -in quale paradosso spazio-temporale mi sono cacciata, grande Giove!- non posso far altro che sperare che gli atei italiani si sveglino dal sonno in cui sono piombati e si rendano conto che non c’è niente di peggiore che vergognarsi delle proprie posizioni e nascondere la testa sotto una coltre di indifferenza e rassegnazione.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Cara Elena, non si tratta affatto di vergogna ma di puro disinteresse. Mi chiedo cosa atei o agnostici dovrebbero manifestare, se la propria posizione prevede per definizione l'assenza di proselitismo? Esistono propri mezzi di informazione pro-ateismo?
Inoltre, essere ateo e non agnostico? Non esiste in fondo un abisso tra le due posizioni?
Nel rispetto di tutte le posizioni, faccio davvero fatica a trovare un valido nesso di causalita` che giustifichi eventuali iniziative da parte dell'UAAR (non lo dico per mero retoricismo). Quali saranno le sue prossime iniziative?

Michele