lunedì 25 gennaio 2010

Caso Puglia

Giuseppe Alberto Falci

Dopo settimane di contrapposizioni interne al centrosinistra, si è conclusa la “telenevola” pugliese. Ha vinto Nichi Vendola, con oltre il 70% dei suffragi, sul rivale Francesco Boccia nella sfida per conquistare la candidatura alla Presidenza della Regione. Hanno votato circa 192.000 persone per le primarie del centrosinistra in Puglia. Il dato è quello definitivo reso pubblico dal Pd pugliese. Coloro che votarono in Puglia alle primarie del Pd il 25 ottobre scorso quando venne scelto Pierluigi Bersani a segretario del partito furono circa 170.000. Furono invece 79.296 i partecipanti alle primarie del 2005 quando per la prima volta Nichi Vendola ebbe la meglio su Francesco Boccia nella scelta del candidato presidente del centrosinistra per la Regione Puglia.

Cosa è successo in questi mesi in Puglia? Facciamo una breve storia dei fatti. In Agosto la riconferma di Vendola era cosa buona e certa. Durante la festa della Tarantella, Massimo D’Alema era stato chiaro: "Nichi è il nostro candidato”. Poi, gli incontri di fine estate, fra Casini e D’Alema, iniziarono a far trapelare qualcosa. A quel punto, la candidatura di Vendola rimase appesa all’esito delle primarie di Ottobre. Dalle mozioni si evinse come la vittoria di Bersani avrebbe significato la ricerca dell’alleanza con l’Udc, la formazione di una “nuova Unione”. Bersani vinse. Si iniziò a parlare di alleanze in vista delle Regionali di Marzo. Casini fu subito chiaro:” O con noi, o con Vendola”. E D’Alema propose Michele Emiliano, eletto sindaco di Bari in Giugno con l’appoggio dell’Udc. Emiliano pose subito un problema: non si sarebbe dimesso da sindaco di Bari. Perciò, chiese alla Regione una leggina ad personam per risolvere il nodo dimissioni. La Regione e il Pd locale respinsero al mittente la richiesta. Ma, nello stesso tempo Vendola non mollò la presa, consapevole della sua forza e del suo consenso. Si arrivò ad un compromesso tra Pd e Vendola: fare le primarie. Non appena si pronunciò la parola “primarie”, Michele Emiliano ritirò la candidatura e tornò a svolgere la carica di sindaco. I vertici nazionali del Partito Democratico diedero un mandato esplorativo a Francesco Boccia per trovare attorno alla sua candidatura un’ampia coalizione. Boccia piacque all’Udc onde per cui si andò avanti su questa linea. Ma, Vendola non ha mai pensato di togliere il disturbo e lasciar spazio a Boccia. Quindi, primarie fra Boccia e Vendola, esattamente come 5 anni fa quando Vendola vinse con uno scarto di 1600 voti. Questa è la cronaca.

E adesso che farà il Pd? Gli scenari possibili sono due. Primo scenario: corsa a tre. Che vuol dire? Il Pd correrà con Vendola, l’Udc sosterrà la Poli Bortone, e il Pdl Rocco Palese (uomo di Raffaele Fitto). Secondo scenario: corsa a due. Il Pd sosterrà Vendola e, per la felicità del Pdl, l’Udc avallerà la candidatura di Palese. Il primo scenario è il più probabile e, il più favorevole al Pd. Perché? La cronaca dice che la Poli Bortone, ex sindaco di Lecce e militante di Alleanza Nazionale, è stata scartata dai vertici nazionali e locali del Pdl per motivi intrinsecamente personali. Dalla candidatura della Poli Bortone ne trarrebbe vantaggio esclusivamente il Pd perché il suo elettorato è il medesimo del Pdl. Quindi, nel caso del primo scenario la vittoria di Vendola sarebbe ragionevole. Il secondo scenario sarebbe lo stesso di cinque anni fa, da una parte avremmo Vendola e dall’altra, al posto di Fitto, Rocco Palese. Direi: che casino.

sabato 23 gennaio 2010

Il PD e la Puglia: come perdersi in un bicchier d'acqua. Di rubinetto.

Simone Signore

Per molti il comportamento degli ultimi tempi di Massimo D’Alema, recentemente bocciato per la nomina di Ministro degli Esteri Europeo (e dal prossimo martedì, nuovo presidente del Comitato
Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica, COPASIR), e di Nichi Vendola, ex-governatore della Puglia nonché portavoce di Sinistra Ecologia Libertà, appare come l’ennesimo ingiustificato hara-kiri politico, che rende l’arte del disaccordo il vero tallone d’Achille del PD. Eppure, a ben vedere, la faccenda potrebbe non essere così irrilevante.

Benché D’Alema smentisca l’ipotesi “inciucista” che avrebbe portato ad un’alleanza pugliese PD-UDC nel nome di Francesco Boccia, vi sono numerosi indizi che portano a considerazioni in senso opposto. Insomma, per citare Andreotti, “a pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca”.

Si dà il caso infatti che il suocero di Pierferdinando Casini sia l’imprenditore Gaetano Caltagirone, decimo uomo più ricco d’Italia, che possiede il 7,5% di ACEA SpA (Azienda Comunale Energia e Ambiente), la quale ha già da molto tempo puntato gli occhi sull’acquedotto pugliese per mezzo delle azioni del suo amministratore delegato, Marco Staderini, ex Lottomatica ed ex CdA RAI, anch’egli legato da intima amicizia con Casini. A rinforzare la catena di relazioni troviamo Andrea Péruzy, consigliere di ACEA per conto dell’azionista francese Suez e segretario generale della dalemiana Fondazione Italianieuropei. Questi legami a doppio filo si concretizzano nella scelta di opporre a Vendola l’economista Francesco Boccia (MBA Bocconi n.d.r.), peraltro già sconfitto da Vendola nel 2005 per poco più di 1200 voti.

In un’intervista ad un giornalista de “La Gazzetta del Mezzogiorno” Boccia dichiara infatti che “Se l’acqua (fosse) pubblica, la Regione (…) dovrebbe darla gratis a tutti e, invece, in Puglia si pagano le tariffe più alte. Per questo sono per la statalizzazione delle imprese che detengono il patrimonio delle principali utilities, ma sulla gestione no: pretendo che le famiglie del San Paolo di Bari (n.d.r quartiere popolare ad alto tasso di disoccupazione e microcriminalità) non paghino nulla e i benestanti come me e Vendola paghino di più. E, per farlo, occorre aprire le porte della gestione alla competizione tra privati, pur tutelando la maggioranza in mano pubblica".

Vendola, dal canto suo, ha sempre rivendicato la necessità di mantenere il servizio idrico nelle mani dell’amministrazione pubblica: “Noi non consentiremo un esproprio di un bene che e' un vanto, un orgoglio. L'Acquedotto pugliese e' un grande bene pubblico, l'acqua che da' ai cittadini e' un diritto universale. Noi ci metteremo di traverso, lo faremo con tutte le nostre forze, contro ogni disegno per regalare a qualche multinazionale francese o americana un bene pubblico come quello pugliese”. Contro la volontà di Vendola si inserisce però il Decreto Ronchi dello scorso novembre, che stabilisce l’affidamento della gestione dei servizi idrici ai privati entro il 2011.

È dunque iniziata la guerra dell’oro Blu?

Benché gli intenti espressi da Boccia siano più che encomiabili, numerosi studi sulla transizione da gestione pubblica a gestione privata delle Water Utilities hanno prodotto risultati poco gratificanti. I casi più eclatanti sono il Ghana, dove la PPP (Partnership Pubblico Privato) fondata dal governo ed alcune multinazionali ha raddoppiato il costo dell’acqua, fino ad arrivare a costituire un decimo del guadagno medio giornaliero; anche a Cochabamba, in Bolivia, dopo l’avvento del consorzio Aguas del Tunari (tra cui la statunitense Bechtel e l’italiana Edison) i prezzi aumentarono del 20%-30% sino a costituire un quarto del reddito mensile. Anche le città di Cancun, Saltillo, and Aguas Calientes in Messico hanno storie differenti in cui la costante è un aumento indiscriminato dei prezzi (dal 32%-68% o più) ed addirittura il rischio di bancarotta delle imprese operanti (come ad esempio la francese Vivendi, che ad Aguas Calientes nel 1994 rischiava il fallimento, salvo poi rinegoziare con la pubblica amministrazione un contratto trentennale ancora più vantaggioso).

Avvicinandosi un po’, troviamo i due casi documentati da Report (che consiglio a tutti di vedere: http://bit.ly/8NSf6G) di Arezzo (con la multinazionale francese Suez), dove i prezzi sono raddoppiati una prima volta con l’avvento del servizio privato ed una seconda a causa del cambio truffaldino 1:1 con l’euro, o di Aprilia con AcquaLatina SpA (in cui figura proprio la ACEA) in cui si documentano aumenti dal 50% al 3300% (33 volte tanto!), con la nascita di un gruppo di 5000 e più cittadini che si rifiutano di pagare le bollette esponendosi al rischio di vedersi chiudere fisicamente i rubinetti.

Insomma, molta cautela è necessaria quando si approccia il discorso della privatizzazione dell’acqua: è evidente che, trattandosi di un mercato che si configura come monopolio naturale (data la presenza di altissimi costi d’entrata ed enormi economie di scala e di scopo), il passaggio da prezzo politico a prezzo di monopolio porta inevitabilmente ad un aumento di livello dei prezzi, e sebbene questo possa essere contrastato da una efficiente normativa, non sono escludibili effetti collaterali. Lo dimostra il caso di AQP, la SpA che gestisce proprio l’Acquedotto Pugliese, che si è rifiutata di investire nelle proprie infrastrutture dopo che era stato bloccato il tentativo di ritoccare all’insù del 10% i propri prezzi. E aumenterebbe anche il rischio d’impresa, come ci dice la notizia che sempre AQP abbia rischiato di perdere 250 milioni di euro in obbligazioni di Ford, Chrysler e General Motors nei mesi caldi della crisi.

È vero, gli effetti sono piuttosto eterogenei, e come spiega uno studio piuttosto ottimista commissionato nel 2007 dalla Inter-American Development Bank ed effettuato sul territorio colombiano, la privatizzazione del servizio porta ad un sicuro aumento dei prezzi solo per l’ultimo quintile (i.e. il 20% della popolazione ordinata per reddito, ovvero i più poveri), mentre per gli altri il risultato non è anticipabile. E qui pare di intravedere una filosofia interpretata magistralmente dalla battuta attribuita ad Ettore Petrolini: “Bisogna prendere il denaro dove si trova: presso i poveri. Hanno poco, ma sono in tanti”.