martedì 17 novembre 2009

Berlusconi E l'Eutanasia Di Un Governo

GianMario Pisanu

Come spesso ama ripetere il Ministro Tremonti, la parola crisi( dal greco krisis,”forza distintiva”, “separazione” e quindi “scelta”, “decisione”) implica al contempo un momento negativo, inteso come pura contrapposizione alla realtà preesistente, e in seconda istanza una fase propositiva, quando un nuovo ordine si affaccia sulle macerie ancora fumanti dello status quo appena abbattuto.
Secondo quanto trapelato recentemente da ambienti del centro-destra vicini al Premier, è in quest’ottica che Berlusconi, tribolato dalle annose vicende giudiziarie che lo riguardano e amareggiato dalle accuse di cesarismo mossegli dal co-fondatore del PdL Fini, starebbe meditando un ritorno anticipato alle urne. La lista dei detrattori accusati di cospirazionismo è assai lunga: dai giudici rifondaroli ai vassalli disobbedienti che anelano al suo scettro (Fini e democristiani vari) , dall’astiosa combriccola “Repubblichina” al Presidente Napolitano (reo di non aver mantenuto ciò che non poteva promettere) , senza trascurare l’ex concubina pietra dello scandalo, Veronica Lario, e le impietose testate giornalistiche estere che spesso e volentieri ne tratteggiano esilaranti caricature (e perché no, anche la sempiterna CIA, specie da quando Obama, un democratico, è alla Casa Bianca) . Tutti remerebbero in direzione avversa , tutti lo spedirebbero dritto dritto a Sant’Elena senza passare per l’Elba, se solo potessero. Convinto dunque di avere contro i cosiddetti “poteri forti”(espressione abusata e fumosa, caposaldo della dietrologia a buon mercato) , l’eventualità di una legittimazione popolare di massa appare quale unico argine a un declino lento e inesorabile. Una Nuova Alleanza con gli italiani dopo il diluvio elettorale, che spazzerebbe via maldicenze e oppositori, va profilandosi all’orizzonte della scena politica italiana, specie se la vis agonistica e il fiuto dell’imprenditore prevarranno sugli accorti consigli di paludati strateghi, in primis Letta, che guardano alle elezioni con timorosa circospezione.
Verrebbe in tal modo confermata ancora una volta l’endemica instabilità dei nostri governi, prerogativa che ci accompagna sin dai tempi dell’Unità e che ci caratterizza, ahinoi, agli occhi del mondo intero insieme a pizza, mafia e “O’ sole mio”.
Se è vero infatti, come soleva dire De Gasperi, che un politico guarda alle prossime elezioni mentre uno statista alla prossima generazione, i nostri dirigenti non brillano certo per lungimiranza e, una volta metabolizzata l’eventuale sconfitta alle urne, promettono ai propri seguaci, assetati di revanscismo e fedeli alle proprie origini guelfo/ghibelline, di adoperare ogni mezzo per abbreviare l’estenuante scadenza quinquennale della legislatura. Sicchè, nell’infuocata primavera del 2006,mentre ancora non si erano spenti gli echi delle polemiche per l’esito risicato , Berlusconi annunciava a gran voce l’imminente fine del Governo Prodi (che sarebbe caduto ben due volte di lì a un anno e mezzo) ; parimenti, dopo la batosta subita nel 2008, Veltroni profetizzava arrembante che “il governo non sarebbe durato 5 anni”, nonostante la schiacciante maggioranza parlamentare conseguita dallo schieramento avverso. Così facendo, in un clima di delegittimazione reciproca e di totale sfiducia nei meccanismi dell’alternanza di una normale democrazia parlamentare, l’Italia è arrivata a detenere il poco invidiabile record di 60 (sessanta!) governi in 43 anni, dal 1946 ad oggi, contro i 17 degli Usa e gli 11 francesi (questi ultimi con sole 8 diverse presidenze) . Vi è tuttavia un elemento di sostanziale novità nella crisi che serpeggia tra le fila dell’attuale governo.
All’epoca della vituperata Prima Repubblica, quando le maggioranze si formavano dopo complicate trattative parlamentari all’oscuro dai riflettori dell’opinione pubblica, i partiti traevano legittimazione quasi per intero dal Parlamento ( il voto popolare sanciva esclusivamente i rapporti di forza tra gli schieramenti) . Di conseguenza le crisi di governo, perlopiù provocate da trame di palazzo, fiorivano a grappoli( basti pensare ai governi “balneari”, così chiamati perché non resistevano ai rigori autunnali) , esaltando l’immagine di autoreferenzialità che un mondo (la Politica) rincantucciato nella sua turris eburnea dava di sé. Con il crollo dei partiti di massa , e più in generale delle ideologie, successivi alla fine della Guerra fredda, il sistema si rivelò improvvisamente obsoleto e iniquo agli occhi dei cittadini, che rivendicavano finalmente maggior voce in capitolo nella scelta dei propri rappresentanti. Fu allora che, in preda al marasma giacobino e ai furori populisti scatenati da Tangentopoli , l’Italia perse una storica occasione per modernizzarsi. L’ondata rivoluzionaria che attraversò il Paese partorì il proverbiale topolino, stavolta nelle vesti di una fantomatica Seconda Repubblica, così chiamata per scimmiottare le cinque Repubbliche francesi (quelle sì, generate da cambiamenti radicali, nel bene o nel male).
I risultati sono sotto gli occhi: in 15 anni,ben 10 governi diversi (Berlusconi I,II,III e IV,Prodi I e II ,D’Alema I e II, Dini , Amato II) , il doppio rispetto agli Stati Uniti e il triplo di quelli francesi maturati nel medesimo lasso di tempo. Solo l’anomalia berlusconiana e il suo straordinario potere mediatico e finanziario hanno mitigato, almeno in parte, l’esasperata caducità dei governi( peraltro con due crisi all’attivo, nel 1994 e nel 2005, molteplici rimpasti e aggiustamenti in corsa). Ma ecco che, proprio quando il quadro politico pareva essersi stabilizzato in seguito alle elezioni del 2008, che han mutilato le estreme e conferito un mandato forte e inequivocabile alla coalizione di centrodestra, una “crisi d’abbondanza” , per certi versi speculare a quelle parlamentari, mina la solidità del governo. Paradossalmente, il vasto consenso raccolto nel paese si è rivelato strada facendo un boomerang per il Presidente del Consiglio che, certo dell’appoggio popolare, si è speso sino al parossismo per consolidare l’immagine di padre della patria, “Presidente di tutti”( si pensi al paternalismo ostentato in occasione del terremoto dell’Aquila, così plateale da non trovare riscontri in esperienze recenti), confidando di poter assicurare in tal modo lunga vita al proprio esecutivo.
Ma l’Italia non è uno Stato presidenziale e neppure una democrazia di stampo plebiscitario. E’retta da un sistema a base parlamentare legittimato dal voto elettorale, Giano Bifronte che fatica a incasellarsi in una qualsiasi categoria weberiana . Illudersi di poterla governare a suon di sondaggi è da sconsiderati, specie se si ignorano gli altri fattori di stabilità necessari. Convinto che mostrare i muscoli e esasperare i toni ad ogni costo fosse indice di forza, anche a costo d’inimicarsi potenziali alleati( la maldestra gestione del caso Boffo che ha deteriorato i rapporti con parte del mondo cattolico è a tal proposito eloquente ) , il Premier s’è a lungo andare scavato la fossa con le proprie mani, sicché persino all’interno del suo partito c’è già chi parla di post-berlusconismo, nonostante rimanga ancora primatista indiscusso di suffragi. Come in occasione dell’ormai celebre discorso del predellino, Berlusconi è dunque pronto a giocarsi la partita della sopravvivenza ( politica) per non morire d’inedia. Ma un eventuale chiamata alle urne, un anno e mezzo dopo l’inizio dell’attuale legislatura e a tre anni e mezzo dalla sua naturale scadenza, comporterebbe per l’Italia danni d’immagine e economici non indifferenti. In primo luogo, paleseremmo ancora una volta la nostra schizofrenia , confermandoci un partner inaffidabile nel panorama internazionale, perché, com’ebbe a dire Bush (ex sodale del Premier) è assai complicato intrattenere solide relazioni con un paese che cambia amministrazione a ogni pié sospinto. Ma c’è dell’altro.
In virtù del decreto mille proroghe del 2005 varato dall’allora maggioranza di centrodestra, con l’appoggio una volta tanto convinto dell’opposizione, il rimborso elettorale ai partiti viene comunque effettuato anche in caso di scioglimento anticipato delle Camere, sommandosi ai nuovi rimborsi previsti per legge e dovuti per le eventuali elezioni prossime a venire. Così, ad esempio, Pdl e Pd continuano a ricevere laute sovvenzioni per le elezioni del 2006 (fino al 2011, scadenza naturale della defunta legislatura), per quelle del 2008 ( fino al 2013), cui s’aggiungerebbero nuovi rimborsi in caso di votazioni anticipate nel 2010. Insomma, un triplo finanziamento pubblico camuffato ( giacché questi erano stati abrogati da un referendum del 1993; fatta la legge, trovato l’inganno). Uno spreco di denaro pubblico assurdo e dissennato, specie in tempi di vacche magre, considerando tra l’altro gli ingenti costi gestionali che un'elezione comporta ( per quelle del 2006 le spese complessive ammontarono a circa 393 milioni di euro). Con quale faccia e a che diritto si andrebbe poi a cianciare di tagli, sacrifici, lacrime e sangue ?

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